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Cosa è lo "scavalco" nella Pubblica Amministrazione?

Questa settimana diversi membri di lucidicrociera.com mi hanno scritto per domandarmi fondamentalmente cosa fosse il cosiddetto "scavalco". Partiamo con il dire che lo scavalco è uno strumento fondamentale per aumentare le proprie opportunità lavorative sia in ambito di carriera che in ambito di stipendio.


L’istituto dello scavalco rientra nelle varie forme organizzative del rapporto di lavoro presso le pubbliche amministrazioni, che trovano riconoscimento in diverse disposizioni dell’ordinamento giuridico.

Il legislatore, pur prevedendo l’unicità del rapporto di lavoro del dipendente pubblico (art. 53 del D. Lgs. 165/2001), ha previsto una serie di deroghe per facilitare lo svolgimento delle funzioni amministrative fondamentali da parte di enti di piccole dimensioni o di enti che si trovano in particolari condizioni di riduzione di organico a causa dei vincoli legislativi sulle assunzioni di personale nelle pubbliche amministrazioni.

Il Consiglio di Stato con il parere n. 1213/2014, recepito in toto dal Ministero dell’Interno con la circolare n. 2 del 26 maggio 2014, mette in evidenza proprio questo aspetto di “deroga al principio dell’unicità del rapporto di lavoro espresso dall’art. 53, del d.lgs. n. 165/2001”. Per il Consiglio di Stato si intende consentire ai dipendenti degli Enti locali di svolgere, previa autorizzazione, attività lavorativa a favore di altri Enti locali, di piccole dimensioni ovvero associati tra loro o che si trovano in particolari difficoltà nello svolgimento dei compiti istituzionali per carenza di personale, non solo ai titolari di un rapporto di lavoro a tempo parziale ma anche ai titolari di un rapporto di lavoro a tempo pieno.


Lo scavalco può essere suddiviso in due tipologie distinte: lo scavalco condiviso e lo scavalco d'eccedenza.

Lo scavalco condiviso permette ad un Ente di utilizzare personale assegnato ad altri Enti per periodi predeterminati e per una parte delle 36 ore settimanali – che costituiscono il tempo di lavoro d’obbligo – mediante convenzione volta a definire, tra l’altro, la ripartizione degli oneri finanziari (c.d. scavalco condiviso o co-utilizzo). La norma relativa allo scavalco condiviso dispone infatti che “gli enti locali possono utilizzare, con il consenso dei lavoratori interessati, personale assegnato da altri enti, cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto funzioni locali, per periodi predeterminati e per una parte del tempo di lavoro d’obbligo, mediante convenzione e previo assenso dell’ente di appartenenza. La convenzione definisce, tra l’altro, il tempo di lavoro in assegnazione, nel rispetto del vincolo dell’orario settimanale d’obbligo, la ripartizione degli oneri finanziari e tutti gli altri aspetti utili per regolare il corretto utilizzo del lavoratore. Si applicano, ove compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 14 del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto delle regioni e delle autonomie locali del 22 gennaio 2004”.


Lo scalvalco d'eccedenza trova la propria disciplina, originariamente, nell’art.1, comma 557, della Legge n. 311/2004, a tenore del quale: “I comuni con popolazione inferiore ai 5.000 (oggi 25.000) abitanti, i consorzi tra enti locali gerenti servizi a rilevanza non industriale, le comunità montane e le unioni di comuni possono servirsi dell’attività lavorativa di dipendenti a tempo pieno di altre amministrazioni locali purché autorizzati dall’amministrazione di provenienza”. Lo scavalco d'eccedenza è quindi uno strumento fondamentale per permettere ai dipendenti degli enti locali di svolgere, previa autorizzazione, attività lavorativa a favore di altri enti locali di piccole dimensioni (ossia comuni con popolazione inferiore ad una certa soglia, attualmente pari a 25.000 abitanti) ovvero associati tra loro (per il tramite di consorzi tra enti locali gerenti servizi a rilevanza non industriale, comunità montane o unioni di comuni).



 
 
 

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